Normalità o pazzia? Realtà o immaginazione?
Questi opposti si fondono e si mescolano inscindibilmente, fino a divenire due facce diverse
di un'unica verità.
L’ossessione, come un tarlo penetra la mente e può condurla sull'orlo del baratro. Un insopprimibile desiderio di morte, una lucida follia ed una fredda razionalità,
sono gli elementi che caratterizzano la progressione
di una psicosi delirante sino al compiersi degli eventi.
Scheda tecnica
Regia: Angelo e Giuseppe Capasso
Cast: Sergio Fuccio, Enzo Russo, Guido Burzio
Alberto D'Angelo
Fotografia: Romano Montesarchio
Musiche: Luca Toller e Marcello Parisi
Sceneggiatura: Angelo e Giuseppe Capasso
Produzione: Angelo e Giuseppe Capasso
Aiuto regia: Loris Arduino
Montaggio: Angelo e Giuseppe Capasso
Operatore: Romano montesarchio
Scene e Costumi: Angelo e Giuseppe Capasso
Make-up\Fx: Katiuscia Orabona
Doppiaggio e Missaggio: Mediavox & Sound
Segretaria di edizione: Mariapia De Alteriis
Segretario di produzione: Luigi D'Orta
L’occhio, ossia l’organo che ci permette di osservare il mondo intorno a noi, che consente alla nostra mente di fantasticare ed inventare un ambiente diverso rispetto a quello in cui viviamo. Quando però il cervello distorce la realtà, la trasforma nei suoi incubi peggiori e li presenta al nostro sguardo.
Ed è l’occhio il tormento del nostro protagonista, quello che appartiene ad un uomo anziano e malato. Ne fa la sua ossessione, il suo assillo che si trasforma gradualmente in angoscia, amplificata dai lunghi silenzi, dalle parole rarefatte, in un caleidoscopio d’immagini che si susseguono incessantemente fino al tragico epilogo.
I fratelli Angelo e Giuseppe Capasso decidono di girare in bianco e nero questo cortometraggio di 17 minuti, ispirato al racconto Il Cuore Rivelatore di Edgar Allan Poe. L’idea si traduce in un’atmosfera sulfurea, che intensifica il senso di malessere del protagonista. Quattro attori sono sufficienti per la corretta riuscita del progetto, grazie all’abilità della coppia dietro la macchina da presa ed alla capacità di alternare situazioni che ben esprimono lo scorrere del tempo ed il malessere del protagonista. D’altronde sono entrambi diplomati in scenografia all’Accademia di Belle Arti di Napoli e da tempo seguono il cinema come forma di linguaggio. Niente sangue, niente violenza mostrata in primo piano. Tutto è solamente percepito e suggerito, con l’apporto della fotografia e della musica ossessivamente lugubre. Il finale spiazza e lascia intuire possibili soluzioni, così come riesce nello stesso intento il racconto di Poe. Piacevoli alcuni dettagli, quali l’innaffiamento di una pianta che alla fine genera vermi. Forse un’allegoria della vita che germoglia insana?